Prima di parlare di terapie bisogna ricordare che il tessuto osseo viene continuamente depositato (apposizione ossea) e riassorbito (riassorbimento osseo). Questi due meccanismi sono contemporaneamente presenti nello scheletro, con una prevalenza della apposizione nel bambino (che deve crescere e “farsi le ossa”), un sostanziale equilibrio nell’adulto, la tendenza al riassorbimento nell’età più anziana (come ad esempio nella osteoporosi nelle signore dopo la menopausa ma anche nel semplice invecchiamento). L’equilibrio viene mantenuto attraverso l’azione di fattori che mettono in comunicazione i vari tipi cellulari che producono (osteoblasti) o riassorbono (osteoclasti) il tessuto osseo, sotto la supervisione degli osteociti, che funzionano da “direttori dei lavori”.
I bisfosfonati sono attualmente il cardine del trattamento farmacologico nei pazienti pediatrici con OI. Essi diminuiscono il riassorbimento osseo attraverso la loro azione di inibizione degli osteoclasti, mentre non vanno ad agire negativamente sugli osteoblasti. Il bilancio netto di questa terapia è un aumento di massa ossea.
La somministrazione può avvenire attraverso una iniezione (endovenosa o intramuscolare) o per via orale. Le preparazioni orali vengono scarsamente assorbite (meno del 5%) e danno problemi di tipo gastrointestinale (nausea, dolori addominali, cefalea).
In età pediatrica si usano in genere bisfosfonati per via endovenosa, di potenza intermedia da somministrare ad intervalli trimestrali. Le maggiori esperienze sono con il pamidronato e il neridronato (Nerixia – unico farmaco registrato con indicazione per osteogenesi imperfetta in Italia, a cui si farà generalmente riferimento in seguito), simili come struttura, modalità di somministrazione e potenza di azione. Composti con potenza molto maggiore ma minore maneggevolezza sono utilizzati meno frequentemente nel bambino e soprattutto nell’ambito di studi controllati (es. zoledronato, da somministrare ad intervalli annuali).
Numerosi studi hanno dimostrato i benefici effetti dei bisfosfonati nei bambini con OI.
Il trattamento con bisfosfonati ha portato significativi miglioramenti nella storia clinica dei bambini e adolescenti affetti da forme moderate a severe di OI.
Il trattamento sopprime il turnover osseo, per cui va riservato in primo luogo a pazienti con OI da moderata a severa.
Nei pazienti con OI severa la terapia va iniziata sempre e il prima possibile, anche già dal primo mese di vita: il trattamento è sicuro ed è in grado di cambiare in maniera positiva la storia naturale della malattia.
Nelle forme moderate o lievi il trattamento non va eseguito in tutti i casi ma va deciso in maniera individualizzata, sulla base del numero di fratture e della presenza di deformità vertebrali.
Specialmente nelle forme severe la terapia, iniziata già dall’età di un mese, si è rivelata molto efficace , con miglioramento nelle acquisizioni motorie e, in alcuni casi, il raggiungimento di una deambulazione autonoma, giudicata al momento della diagnosi molto improbabile.
Già dalle prime somministrazioni del farmaco si osserva una influenza positiva sul dolore osseo. I bifosfonati migliorano la microarchitettura ossea, la massa ossea, le deformità delle ossa lunghe, l’accrescimento e la forza muscolare; inoltre diminuiscono il turnover osseo e ripristinano la dimensione, la forma e la densità minerale ossea delle vertebre con fratture da compressione . Gli effetti sulla riduzione della frequenza di fratture alle ossa lunghe non sono invece conclusivi , anche perché durante la terapia si assiste ad un aumento di capacità motorie e quindi ad un aumento delle situazioni di rischio. Il miglioramento dell’architettura ossea non è sufficiente per azzerare la fragilità ossea, in particolare nei bambini più gravemente colpiti, poiché la terapia non è “patogenetica” e non ripara completamente le alterazioni del tessuto osseo causate dalla malattia.
La dose standard di neridronato è di 2 mg/kg da infondere per via endovenosa ogni 3 mesi. Per le forme lievi la dose può anche essere di 1 mg/kg. La terapia viene infusa lentamente, in almeno 3 ore, in soluzione fisiologica alla diluizione di 0,1 mg/ml. La dose va in seguito modulata in base ai markers del metabolismo osseo, in modo da non sopprimere troppo il turnover osseo in fase di crescita.
Generalmente si controllano ogni 6 mesi i markers di apposizione (ALP ossea, osteocalcina, propeptide N-terminale del procollagene tipo 1 – P1NP) e di riassorbimento osseo (telopeptide C-terminale del collagene tipo I – CTx), insieme ai livelli di PTH e 25 OH Vitamina D (supplementata in modo sistematico per mantenere livelli > 30 ng/ml – 75 nmol/L). La densitometria ossea (DXA a colonna e femore) viene eseguita ogni 12 mesi per valutare le variazioni di densità minerale ossea. Si esegue una ecografia addominale per escludere una eventuale nefrolitiasi ogni 1-2 anni se i pazienti sono supplementati anche con calcio (in caso di insufficiente apporto con la dieta).
Il massimo beneficio viene ottenuto nei primi 2-4 anni di trattamento. In seguito, in base all’andamento clinico, esami e DXA si può passare ad una dose più bassa di mantenimento (1 mg/kg o addirittura 0,5 mg/kg), sempre ogni 3 mesi.
La terapia non andrebbe interrotta prima della fine della crescita ossea, per non rendere più fragili e sottoposte a rischio di frattura le porzioni ossee cresciute dopo la sospensione.
Dopo la fine della pubertà, nella storia naturale della malattia inizia un periodo di relativa libertà da fratture. Si può decidere a questo punto di sospendere la terapia, controllando la situazione a distanza (ogni 1-2 anni), in attesa di una eventuale ripresa (o l’inizio di altre terapie) in età adulta, per prevenire una recrudescenza delle fratture in età più avanzata.
Il trattamento con bisfosfonati non sembra avere influenze sul tempo di guarigione delle fratture mentre risulta in alcuni studi essere associato ad una ritardata riparazione dei siti di osteotomia per posizionamento di chiodi endomidollari. Si preferisce distanziare di almeno un mese il ciclo di terapia da una frattura e, in corrispondenza di interventi chirurgici programmati, sospendere temporaneamente il trattamento saltando un ciclo trimestrale.
In caso di trattamento di donne in epoca preconcezionale non ci sono effetti negativi a livello embrionale e fetale, mentre per mancanza di dati, i bisfosfonati non vanno utilizzati in fase post-concepimento e in gravidanza.
In occasione delle infusioni si può avere un lieve abbassamento dei livelli di calcio sierico2, in modo dipendente dai valori di vitamina D, raramente sintomatico, e una reazione febbrile con dolori ossei (simil-influenzale), di breve durata, dopo la prima somministrazione.
Le linee trasversali radiologicamente visibili in sede metafisaria sono la traccia delle somministrazioni endovenose di bisfosfonato: non hanno nessuna implicazione clinica e sono destinate a riassorbirsi nel tempo.
L’osteonecrosi della mandibola in caso di trattamenti odontoiatrici è una complicanza segnalata nell’adulto oncologico trattato con alte dosi di bisfosfonati molto potenti e per lunghi periodi. A tuttora non è mai stata segnalata osteonecrosi della mandibola nei bambini con osteogenesi imperfetta, probabilmente per le minori dosi utilizzate e per l’uso di bisfosfonati a media potenza , ma anche per l’aumento del turnover osseo tipico della OI.
Ormone della crescita (GH – in casi selezionati). Nella OI si verifica spesso una bassa statura, da lieve a significativa, e un tasso di crescita lento. In casi in cui la crescita sia molto ridotta, si può pensare ad un trattamento combinato tra ormone della crescita (GH) e bisfosfonati. Si associa quindi la stimolazione della sintesi del collagene e dell’apposizione ossea da parte del GH con l’inibizione del riassorbimento osseo data dai bisfosfonati . Questa terapia può essere indicata soprattutto nei pazienti con mutazioni che causano un difetto quantitativo di collagene (azione anabolica del GH sull’osso).
Teriparatide (adulto) Discorso analogo può essere fatto per il paratormone (PTH – teriparatide TPTD – frammento 1-34 del PTH – Forsteo), anch’esso con azione anabolica sull’osso, utile per stimolare la apposizione ossea e già utilizzato a cicli nell’adulto con osteogenesi imperfetta ma non utilizzabile al momento in età pediatrica .
Denosumab (adulto) e Anticorpi antisclerostina (solo protocolli di ricerca)
L’effetto dei bifosfonati è risultato essere meno positivo nell’OI rispetto all’osteoporosi nell’adulto e non corregge il difetto intrinseco di qualità ossea. Per questo motivo, in attesa delle terapie genetiche e cellulari in fase di studio, vengono attualmente esplorati trattamenti con farmaci più specifici e mirati: Denosumab (Prolia – anticorpo monoclonale anti RANK-L), romosozumab e setrusumab (anticorpi monoclonali anti sclerostina) e fresolimumab (anticorpo monoclonale anti TGF-beta) .
Si deve tenere presente che il trattamento farmacologico deve essere considerato parte integrante dell’approccio multidisciplinare, accanto al programma di chirurgia correttiva, fisioterapia e terapia occupazionale.